Sì, era proprio soddisfatto del Salt di Jurifai. Con questo sentimento non
poteva che organizzare festeggiamenti sfarzosi per il matrimonio dei quattro
giovani accontentando non solo loro, ma anche la moglie e cogliere così
l’occasione di mostrare ai villici il suo potere e le sue ricchezze. Con Juanne
andarono verso il Cedrino per controllare il ponte attraverso cui giungere alla
villa di Onifai ed Irgoli. Dovevano anche rendersi conto della posizione della
chiesa di Santu Miali per organizzare un adeguato controllo durante la
celebrazione.
La mattina delle nozze, all’alba, furono bardati i cavalli che dovevano
condurre Juanne e Bustianu che, al ritorno dopo la celebrazione, avrebbero
riportato a casa anche le spose. Per le donne ed Ubaldo fu abbellito il carro
più bello del circondario ed un carrulante di fiducia preparò i maestosi buoi
che dovevano condurlo. Tutti si vestirono in modo solenne sfoggiando costumi e
pizzi intrecciati a mano, mentre i cavalieri indossavano corpetti di pelle
morbida, ed agganciavano le armi alla cintole di cuoio stampate con il fuoco.
Elena indossava un abito regale che mostrava la nobiltà della genealogia e
ne esaltava la bellezza. Franzisca, quanto mai attraente, indossava una camicia
bianca intessuta di pizzi ed un corpetto rosso che metteva in risalto il seno
prosperoso. La sposa di Bustianu, più esile ma aggraziata, sembrava la classica
madonnina dipinta nei numerosi quadri delle Chiese.
Gli sposi furono mandati avanti con gli uomini sia per controllare i
luoghi in cui il corteo sarebbe passato sia la villa che li doveva ricevere,
per non consentire loro di vedere le donne prima della loro entrata in Chiesa. Questa usanza, portata dai Lacon Gunale, si tramandava da generazioni ed
Elena pretendeva che fosse rispettata, pena la sfortuna che si sarebbe potuta
insinuare nelle famiglie.
La Chiesa fu addobbata di agrumi, corbezzoli e mirto. All’esterno un
corridoio fatto di canne, tagliate la notte dal fiume, adornava l’ingresso.
Tutti gli abitanti delle vicine ville si erano radunati sul sagrato ed in prima
fila erano presenti i compaesani di Franzisca, cresciuta da quella parte del
fiume. Da Portu Nonu arrivarono i parenti della sposa di Bustianu ed una
piccola delegazione dei Lacon Gunale, provenienti da Civita, li aveva già
raggiunti da qualche giorno.
Juanne e Bustianu furono accolti in Chiesa da padre Antine che indossava
un talare solenne e, impazienti, aspettavano che arrivasse da lì a poco il
corteo delle donne. I due giovani, d’indole buona e capaci di emozioni,
fremevano nell’attesa. Entrambi si stavano sposando per amore e con le più
buone intenzioni di costruire una famiglia prospera e serena.
L’arrivo del carro fu annunciato dal tocco della campana della Chiesa e,
finalmente, passando fra le canne, arrivarono le due spose. Lamberto si
affacciò sul portale e le condusse all’altare offrendo loro il braccio, una a
destra e l’altra a sinistra. Padre Antine celebrò dunque la messa, non senza
qualche tentennamento dovuto alla commozione. Circa due ore dopo, celebrato il
rito ed espletate le formalità, le spose uscirono dalla Chiesa sottobraccio ai
loro mariti. Il popolo li accolse festante distribuendo loro manciate di
chicchi di grano.
Mintonia si sforzava di non piangere, ma come frenare la commozione nel
vedere i suoi due figli, Bustianu e Zizza, (come lei la chiamava,
considerandola più una figlia che non una figlioccia), sposarsi nello stesso
giorno, con una cerimonia così solenne, con due compagni ideali ed in una
giornata così tersa ed assolata nonostante l’inverno. Elena vedeva che cercava
di sforzarsi, ma anche lei aveva gli occhi umidi e le si avvicinò per abbracciarla
forte.
Poi Ubaldo si scatenò. Non appena vide Franzisca sottobraccio a Juanne le
andò incontro e così sfogò la sua prima scenata di gelosia, cercando di
allontanare lo sposo per riprendersi la sua preferita. Lamberto se ne accorse e
scoppiò in una sonora risata, che trascinò nell’ilarità tutti gli altri. Le
lacrime e la commozione lasciarono finalmente il posto alla gioia ed al riso.
I mariti risalirono in groppa ai destrieri e pretesero la compagnia delle
mogli. Juanne non si era mai avvicinato a Franzisca perché ne rispettava
profondamente la persona: finalmente si sentiva cingere dalle sue braccia,
pensando che il suo cuore non poteva reggere a tanta felicità. Desiderava che
il viaggio verso Pontes potesse durare in eterno, incapace di credere che quel
piacere derivasse dal solo contatto con la sua donna.
Tutto il giorno fu un tripudio di cibo, vino e festa. Intorno al castello
si radunò un popolo festante, immemore delle privazioni e della povertà. Per
tutti vi era da mangiare e Lamberto esibì, qual generoso signore, le sue
regalie e ricchezze. Per volere di Elena per gli sposi furono preparate due
stanze nel borgo di Garteddi. Non volle che si potesse turbare la prima notte
di nozze con schiamazzi e lazzi, a volte osceni, che il vino provoca negli uomini.
Lei stessa si rifugiò con Ubaldo e Mintonia nel borgo: entrambe vollero
rivivere con il ricordo la bellissima giornata, lontano dalle truppe festanti e
dai popolani avvinazzati.
Juanne e Franzisca, verso l’alba, esausti dalla libidine e dall’appagamento
si addormentarono, ma lei fu assalita da un incubo che la turbò, svegliandola.
Emise un grido straziante mentre il marito si affrettava a consolarla.
Franzisca sognò di partorire un bambino bello, riccio e paffuto che sorrideva
al mondo appena incontrato. Mentre si deliziava per questo figlio partorito
senza dolore, lo vide aprire la bocca ed ingoiare un uccello rapace che lo
soffocava. Diventò dapprima paonazzo, poi sempre più viola, fino a scomparire e
dissolversi nell’aria come una nuvola spazzata dal vento. Capì subito che la maledizione delle sue origini, che quella notte di
magia sperava di dimenticare, l’avrebbe tormentata per sempre. Accolta e
coccolata dalle calde braccia di Juanne si riaddormentò stremata.
Brano tratto dal libro "Storie nei castelli di Sardegna", di Franca Carboni
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