mercoledì 31 luglio 2019

Il matrimonio



Sì, era proprio soddisfatto del Salt di Jurifai. Con questo sentimento non poteva che organizzare festeggiamenti sfarzosi per il matrimonio dei quattro giovani accontentando non solo loro, ma anche la moglie e cogliere così l’occasione di mostrare ai villici il suo potere e le sue ricchezze. Con Juanne andarono verso il Cedrino per controllare il ponte attraverso cui giungere alla villa di Onifai ed Irgoli. Dovevano anche rendersi conto della posizione della chiesa di Santu Miali per organizzare un adeguato controllo durante la celebrazione.

La mattina delle nozze, all’alba, furono bardati i cavalli che dovevano condurre Juanne e Bustianu che, al ritorno dopo la celebrazione, avrebbero riportato a casa anche le spose. Per le donne ed Ubaldo fu abbellito il carro più bello del circondario ed un carrulante di fiducia preparò i maestosi buoi che dovevano condurlo. Tutti si vestirono in modo solenne sfoggiando costumi e pizzi intrecciati a mano, mentre i cavalieri indossavano corpetti di pelle morbida, ed agganciavano le armi alla cintole di cuoio stampate con il fuoco.

Elena indossava un abito regale che mostrava la nobiltà della genealogia e ne esaltava la bellezza. Franzisca, quanto mai attraente, indossava una camicia bianca intessuta di pizzi ed un corpetto rosso che metteva in risalto il seno prosperoso. La sposa di Bustianu, più esile ma aggraziata, sembrava la classica madonnina dipinta nei numerosi quadri delle Chiese.

Gli sposi furono mandati avanti con gli uomini sia per controllare i luoghi in cui il corteo sarebbe passato sia la villa che li doveva ricevere, per non consentire loro di vedere le donne prima della loro entrata in Chiesa. Questa usanza, portata dai Lacon Gunale, si tramandava da generazioni ed Elena pretendeva che fosse rispettata, pena la sfortuna che si sarebbe potuta insinuare nelle famiglie.

La Chiesa fu addobbata di agrumi, corbezzoli e mirto. All’esterno un corridoio fatto di canne, tagliate la notte dal fiume, adornava l’ingresso. Tutti gli abitanti delle vicine ville si erano radunati sul sagrato ed in prima fila erano presenti i compaesani di Franzisca, cresciuta da quella parte del fiume. Da Portu Nonu arrivarono i parenti della sposa di Bustianu ed una piccola delegazione dei Lacon Gunale, provenienti da Civita, li aveva già raggiunti da qualche giorno.

Juanne e Bustianu furono accolti in Chiesa da padre Antine che indossava un talare solenne e, impazienti, aspettavano che arrivasse da lì a poco il corteo delle donne. I due giovani, d’indole buona e capaci di emozioni, fremevano nell’attesa. Entrambi si stavano sposando per amore e con le più buone intenzioni di costruire una famiglia prospera e serena.

L’arrivo del carro fu annunciato dal tocco della campana della Chiesa e, finalmente, passando fra le canne, arrivarono le due spose. Lamberto si affacciò sul portale e le condusse all’altare offrendo loro il braccio, una a destra e l’altra a sinistra. Padre Antine celebrò dunque la messa, non senza qualche tentennamento dovuto alla commozione. Circa due ore dopo, celebrato il rito ed espletate le formalità, le spose uscirono dalla Chiesa sottobraccio ai loro mariti. Il popolo li accolse festante distribuendo loro manciate di chicchi di grano.

Mintonia si sforzava di non piangere, ma come frenare la commozione nel vedere i suoi due figli, Bustianu e Zizza, (come lei la chiamava, considerandola più una figlia che non una figlioccia), sposarsi nello stesso giorno, con una cerimonia così solenne, con due compagni ideali ed in una giornata così tersa ed assolata nonostante l’inverno. Elena vedeva che cercava di sforzarsi, ma anche lei aveva gli occhi umidi e le si avvicinò per abbracciarla forte.

Poi Ubaldo si scatenò. Non appena vide Franzisca sottobraccio a Juanne le andò incontro e così sfogò la sua prima scenata di gelosia, cercando di allontanare lo sposo per riprendersi la sua preferita. Lamberto se ne accorse e scoppiò in una sonora risata, che trascinò nell’ilarità tutti gli altri. Le lacrime e la commozione lasciarono finalmente il posto alla gioia ed al riso.

I mariti risalirono in groppa ai destrieri e pretesero la compagnia delle mogli. Juanne non si era mai avvicinato a Franzisca perché ne rispettava profondamente la persona: finalmente si sentiva cingere dalle sue braccia, pensando che il suo cuore non poteva reggere a tanta felicità. Desiderava che il viaggio verso Pontes potesse durare in eterno, incapace di credere che quel piacere derivasse dal solo contatto con la sua donna.

Tutto il giorno fu un tripudio di cibo, vino e festa. Intorno al castello si radunò un popolo festante, immemore delle privazioni e della povertà. Per tutti vi era da mangiare e Lamberto esibì, qual generoso signore, le sue regalie e ricchezze. Per volere di Elena per gli sposi furono preparate due stanze nel borgo di Garteddi. Non volle che si potesse turbare la prima notte di nozze con schiamazzi e lazzi, a volte osceni, che il vino provoca negli uomini. Lei stessa si rifugiò con Ubaldo e Mintonia nel borgo: entrambe vollero rivivere con il ricordo la bellissima giornata, lontano dalle truppe festanti e dai popolani avvinazzati.

Juanne e Franzisca, verso l’alba, esausti dalla libidine e dall’appagamento si addormentarono, ma lei fu assalita da un incubo che la turbò, svegliandola. Emise un grido straziante mentre il marito si affrettava a consolarla. Franzisca sognò di partorire un bambino bello, riccio e paffuto che sorrideva al mondo appena incontrato. Mentre si deliziava per questo figlio partorito senza dolore, lo vide aprire la bocca ed ingoiare un uccello rapace che lo soffocava. Diventò dapprima paonazzo, poi sempre più viola, fino a scomparire e dissolversi nell’aria come una nuvola spazzata dal vento. Capì subito che la maledizione delle sue origini, che quella notte di magia sperava di dimenticare, l’avrebbe tormentata per sempre. Accolta e coccolata dalle calde braccia di Juanne si riaddormentò stremata.

Brano tratto dal libro "Storie nei castelli di Sardegna", di Franca Carboni


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