mercoledì 31 luglio 2019

Ubaldo di Gallura


L'autunno era stato dolcissimo, caldo ma ventilato, la corte di Lamberto Visconti ed Elena de Lacon Gunale aveva soggiornato al Castello di Posada e poi, ai primi di dicembre, era ritornata a Civita. Un piccolo brivido aveva assalito Elena al ritorno nei luoghi dove si era consumato il dramma di Dilicha, subito superato dalla vista di quei posti bellissimi e tanto amati. Ubaldo non aveva ancora compiuto l'anno ma era forte e vigoroso, cominciava a tentare sempre più spesso di sorreggersi sulle proprie gambe e si lanciava in avanti sulla sabbia di Pittulongu cercando il suo baricentro per procedere impavido verso la conquista dei primi passi. Le numerose cadute attutite dalla sabbia non lo frenavano a testimonianza del suo carattere indomito e avventuroso. Raramente piangeva e solo per un motivo valido.

Elena e Lamberto ne erano fieri e ognuno, a modo suo, sognava per lui un futuro radioso. Elena pregustava un lungo soggiorno a Civita desiderando che il bambino si innamorasse del suo mare per correre con lui sulla spiaggia e giocare insieme fino a sfinirsi. Quando erano partiti da Civita, l'anno prima, l'odiata balia era stata sostituita da due caprette e un'asina che pascevano nei prati succulenti intorno a Luogosanto. Il loro latte aveva lenito la ferita di Elena che non aveva potuto allattare il bambino per colpa della perfida Tilica e dato a Ubaldo vigore e salute. La malefica donna ed il Gallo dai capelli rossi erano stati processati e condannati per stregoneria, invero erano responsabili anche della morte della povera fanciulla ma non avevano commesso materialmente il delitto e la loro punizione era stata l'allontanamento dalla corte verso un monastero sperduto nel nord della Sardegna con l'obbligo di rendere i servigi ai frati che a loro volta avevano il compito di redimerli.

A dicembre, poco prima del santo Natale, il mondo si rannuvolò, non vi furono quelle giornate assolate, seppur fredde, che lasciavano spazio a passeggiate all'aria aperta e a gite al mare. Cominciarono le piogge fittissime con venti furibondi che facevano tremare il palazzo, tuoni e lampi squarciavano la serenità non solo delle donne della corte ma anche degli impavidi cavalieri spesso disarcionati dai cavalli terrorizzati durante questi continui ed interminabili finimondi. Nulla era più asciutto dopo giorni e giorni di pioggia, l'umido faceva tossire l'intera corte costretta al buio delle stanze e avvelenata dal fumo dei camini che non riuscivano a dissipare le esalazioni della legna fradicia.

Brano tratto da “Storie nei castelli di Sardegna” di Franca Carboni.


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